Il Generale Chiavarelli racconta la guerra in difesa della pace
Si vis pacem, para pacem , il celebre motto dell’antichità è stato modificato all’insegna della pace sempre e comunque; esso ha fatto da tema alle attività del progetto di educazione civica programmate per il biennio del linguistico e delle scienze umane. La guerra e le sue disastrose conseguenze, le guerre, tante, ancora in atto nel mondo, ancora oggi, e nessun risultato per una pace duratura. Come esperienza didattica conclusiva gli alunni del biennio linguistico, lunedì 28 aprile, hanno potuto incontrare il generale Luigi Chiavarelli, di Fossombrone, egli è stato comandante dell’esercito italiano in missioni di guerra per il mantenimento della pace. Bosnia, Iraq, Afghanistan, alcuni dei Paesi che lo hanno visto in azione, onorato più volte con medaglie e croci d’oro al merito, questa una delle motivazioni:
"Comandante del 187° rgt. par. "Folgore" inserito nel contingente italiano della brigata multinazionale nord impiegata in Bosnia-Herzegovina nell'ambito dell'operazione Ifor/Sfor, si imponeva all'ammirazione dei superiori, dei pari grado e dei propri uomini per le sue straordinarie capacità di ufficiale e di soldato. chiamato ad agire in un contesto umano ed operativo caratterizzato da forti tensioni, profondi disagi ambientali ed elevati coefficienti di rischio, conduceva le quotidiane azioni di protezione della popolazione civile, di pattugliamento degli itinerari, di scorta dei convogli umanitari e di controllo dei siti da ispezionare infondendo nel reparto forza morale e fiducia nella riuscita della missione e anteponendo sempre alla propria persona la sicurezza dell’unità ed il conseguimento degli obiettivi assegnati. Fulgido esempio di radicato senso del dovere, altissima capacità di comando, consapevole sprezzo del pericolo e chiare virtù militari, contribuiva in modo determinante al pieno successo della missione ed all'affermazione del contingente italiano nel contesto multinazionale dando lustro al paese, alla forza armata ed alla specialità di appartenenza".
Sarajevo, 11 febbraio 1997.
Nonostante i suoi grandi meriti di comando, si è presentato agli studenti come persona semplice e molto comunicativa, spesso con un dire ironico, sdrammatizzando i momenti più cruenti della sua vita passata per lo più sui campi di battaglia. Con una serie di immagini multimediali ha fatto capite i luoghi d’azione, martoriati dai bombardamenti dei conflitti in corso, un quadro esplicativo delle difficoltà in cui versano le popolazioni inermi; ma anche le condizioni di vita dei soldati, spesso al freddo gelido, o al caldo torrido, sotto la pioggia o nel fango, cercando di sfuggire ai pericoli insidiosi delle mine o dei colpi nemici. Comandante ma uno fra pari, così lo sentivano i suoi soldati, un punto di riferimento, nei momenti più difficili, come quelli di pausa, una guida.
Egli ha prodotto una significativa rassegna degli articoli della nostra Costituzione che trattano della guerra, e delle forze armate, "l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente, in condizioni di parità con gli altri stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni rivolte a tale scopo"; ha analizzato ogni aspetto del n. 11 che delinea la visione della nostra nazione rispetto alla guerra.
La sua narrazione si è soffermata molto sugli aspetti umani, non solo militari, del suo mestiere, sui sentimenti provati nell’accudire la gente, le popolazioni che andavano protette dagli effetti più devastanti della guerra, il generale ha affermato che molti i volti ancora impressi nella sua memoria.
Moltissime le domande poste dagli studenti, affascinati dal suo racconto intenso, molte anche riguardanti i fatti bellici di questi giorni che aprono i giornali quotidiani; la lezione si è trasformata in un lungo dialogo, per giungere alla conclusione che è follia pensare alla guerra come strumento di risoluzione, una follia che l’umanità, nonostante il progresso, non ha saputo cancellare e come recita un noto testo poetico:
la guerra che verrà
non è la prima…
fra i vinti la povera gente faceva la fame.
fra i vincitori faceva la fame la povera gente egualmente.
ALCUNE RIFLESSIONI DEGLI STUDENTI
Penso che il ruolo del generale sia molto difficile, e necessita di una grossa dose di coraggio come nel momento raccontato del pericolo in volo su un aereo da caccia, mi ha colpito per la consapevolezza della morte imminente che fortunatamente è stata evitata per una intuizione da esperto pilota, quanta la paura, nell’idea della fine vicina.
E’ stato struggente il racconto di un incontro in Afghanistan, in una strada, una donna stremata dalla guerra, alla vista del generale gli chiede come mai l’esercito italiano non fosse arrivato prima, quella domanda risponde alla domanda sull’importanza dei soldati italiani in missioni di protezione della pace.
Durante un combattimento nel Kosovo, il generale organizzò una riunione con i più importanti rappresentanti delle nazioni in guerra e dopo tanti giorni di conflitto, finalmente la tregua portò calma, tranquillità, brindarono insieme i soldati per il risultato raggiunto.
Un incontro inaspettato, un soldato sconosciuto sapeva tutto di lui, di sua moglie, del suo passato… non era un soldato semplice, ma una spia russa che lo aveva messo nella sua lista di persone da eliminare, solo un caso volle che ciò non avvenne: un racconto che noi vediamo nei film, invece è accaduto davvero al generale Chiavarelli.
Entrare in un campo minato, di corsa, senza sapere del pericolo lì in quel luogo, dove sembrava sicuro, la vita salvata dai suoi commilitoni che gli urlarono: “Comandante, via, via, non avanzi, ci sono le mine!!!” lui si fermò di scatto e con passo felpato, piano piano, ritornò indietro incolume: quando i soldati salvano la vita al suo comandante e il rapporto di affetto fra loro si rafforza così tanto da sentirsi fratelli.
In Bosnia un uomo pacifista volle protestare di persona su un ponte per far fermare la guerra, ma non fece in tempo, venne immediatamente trucidato da una mitraglia di un soldato bosniaco, oggi rimane solo una targa a ricordare quell’atto di grande coraggio.
Grandi gli insegnamenti dalla sua esperienza:
la codardia è peggiore della violenza perché fa dell’uomo un vile che non sa agire, si rifiuta di prendere parte a quel che succede senza dare il suo aiuto;
se nella vita si è ad un bivio, occorre prendere la via più tortuosa, perché porterà alla fatica e sarà quella giusta, non sempre la strada facile porta al bene;
la guerra è sempre una follia, i suoi soldati proteggevano la pace e le persone afflitte dalla guerra, il loro obiettivo era salvare, non ferire.
la pace non è un obiettivo facile ma occorre provare a raggiungerlo, tocca anche a noi, è nostro il futuro che si avvia…
il progresso non sempre ha aiutato l’umanità: in guerra gli strumenti di offesa sono sempre più micidiali e dannosi;
gli uomini in guerra sono in spesso portati a stare davanti ad una scelta atroce: decidere se salvare la loro vita o sacrificare quella altrui e sparare è sempre un atto crudele che lascia segni indelebili e una volta fatta, da quella scelta non si può tornare indietro.